Un'Europa dei popoli

“Segnare una nuova tappa nel processo di integrazione europea intrapreso con l’istituzione delle Comunità europee”,”favorire l’unione sempre più stretta fra i popoli dell’Europa”.
La volontà espressa a Maastricht nel 1992 dai firmatari del trattato sull’Unione Europea è quella di un’Europa dei popoli. E questa Europa abbraccia anche la cultura: per la prima volta, all’Unione è stata attribuita una competenza specifica in questo settore. Il trattato ha anche istituito una «cittadinanza europea» che completa la cittadinanza nazionale, senza sostituirla.

Questa nozione di cittadinanza europea traduce i valori fondamentali condivisi dagli europei e sui quali si fonda la costruzione dell’Europa. Un altro fondamento di questa Europa è rappresentato dalla formidabile eredità culturale che gli europei possono vantare. Superando le divisioni geografiche, religiose o politiche, le correnti artistiche, scientifiche o filosofiche, gli europei si sono reciprocamente influenzati e arricchiti nel corso dei secoli, costruendo quell’eredità comune alla quale possono fare appello le molteplici culture dell’Unione. Infatti, pur diversi tra loro, i popoli europei condividono una storia che colloca l’Europa nel mondo e dalla quale deriva la sua specificità. Il «modello culturale europeo» si colloca tra il rispetto dell’espressione culturale di ogni popolo e gli scambi e le cooperazioni che alimentano e arricchiscono ogni cultura. Mettere in evidenza gli aspetti comuni dei patrimoni europei, rafforzare il sentimento di appartenenza a una stessa comunità rispettando le differenze culturali, nazionali o regionali, contribuire allo sviluppo e alla diffusione delle culture, questa è un’altra scommessa della politica messa in atto dall’Unione Europea. Il trattato di Maastricht non si limita a fare della cultura un settore specifico dell’azione europea: introduce l’obbligo, per l’Unione europea, di prendere in considerazione gli aspetti culturali all’interno delle sue politiche. L’idea di un’Europa delle molteplicità, che parla a nome di un’eredità comune, è sostenuta, direttamente con le loro azioni concrete, oltre che dalle politiche regionali e sociali, anche dalle politiche a favore dell’istruzione e della formazione, dai programmi di ricerca scientifica, dalle iniziative a favore delle lingue. Un’Europa delle molteplicità, ma anche un’Europa che diffonde i valori della diversità e del dialogo culturale oltre i suoi confini. Questa preoccupazione è il punto fondamentale degli accordi che l’Unione ha concluso con i paesi terzi: la conservazione del patrimonio mondiale, la reciproca conoscenza delle opere, il sostegno alle attività culturali locali, gli scambi tra le regioni e i paesi, modi diversi per contribuire allo sviluppo sociale e alla coesione tra i popoli. In questo campo, dunque, i valori sui quali si fonda la nostra Unione Europea si identificano in primo luogo nel rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia e dell’uguaglianza in un contesto di società non afflitta da discriminazione, bensì caratterizzata dal pluralismo, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità dei sessi.
Per questi motivi ci è sembrato opportuno, se non doveroso, analizzare ed approfondire la questione relativa alla multiculturalità nella società odierna dell’Unione Europea.

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LA storia e lo sviluppo demografico della popolazione

Quanti erano gli europei nelle epoche che hanno preceduto i moderni censimenti generali? È difficile stabilirlo. Sappiamo invece con certezza che gli europei erano in numero molto inferiore a quello odierno e che la crescita della popolazione è avvenuta in modo assai lento fino al periodo della rivoluzione industriale.

L'uomo comparve in Europa già nel Paleolitico; ma sull'origine degli uomini che hanno portato al popolamento attuale non si sa molto, anche se si può supporre che i primi gruppi umani siano giunti da oriente in ondate successive, sia dall'Asia Minore attraverso i Balcani sia dall'Asia centrale, percorrendo le praterie a nord del Mar Nero. Non sono mancate immigrazioni dall'Africa, attraverso Gibilterra e l'Italia meridionale. Importanti furono però soprattutto le ondate di popolazioni indoeuropee originarie delle pianure interne dell'Asia all’inizio del II millennio, da cui derivano i principali gruppi etnici dell'Europa, nei quali si sono inseriti più piccoli gruppi come quelli ugro-finnici (da cui discendono magiari e finlandesi). I numerosi reperti archeologici sembrano comunque confermare che l'Europa fosse abitata da una popolazione relativamente numerosa già a partire dal 4000 ca. a.C., quando il Neolitico fioriva nella penisola balcanica e nella penisola italiana (nel contempo però le civiltà urbane in Egitto e in Medio Oriente erano già affermate). Barriere naturali quali foreste, monti e paludi contribuirono a mantenere divise le popolazioni in gruppi che rimasero a lungo quasi del tutto separati. Successivamente le migrazioni determinarono via via il mescolarsi delle diverse popolazioni.

Disponiamo infatti di dati significativi sul numero degli europei solo a partire dal I secolo d.C., quando furono effettuati i primi censimenti. Duemila anni fa in Europa vivevano circa 30 milioni di persone, la maggiorparte delle quali abitava le regioni bagnate dal Mar Mediterraneo. L’insediamento umano in queste zone era infatti favorito dal clima temperato e dalla presenza di un grande stato organizzato: l’Impero Romano. La massima concentrazione di abitanti si trovava proprio intorno alla capitale dell’Impero, Roma. Si ritiene che, durante il regno di Augusto (27 a.C. - 14 d.C.), nell’Impero vi fossero circa 55 milioni di persone: bisogna tenere presente, però, che lo stato romano si estendeva anche fuori dall’Europa, in Africa settentrionale e nel Medio Oriente. Nell’Europa settentrionale la popolazione era più scarsa, per il clima poco favorevole e per l’isolamento di quelle regioni.

Nei secoli successivi la popolazione europea crebbe lentamente e talvolta addirittura diminuì, a causa di epidemie, carestie e guerre che la colpivano senza rimedio riducendola drasticamente, almeno fino al XVII secolo. Una sensibile crescita della popolazione si ebbe, ad esempio, verso il 1000, quando iniziò un periodo di prosperità economica legata agli sviluppi dell'urbanesimo. Nel XIV secolo la peste provocò invece gravi decimazioni, ma già nel secolo successivo si ebbe una sensibile ripresa.

Sul finire del XVIII secolo la popolazione europea, grazie al diffondersi dell'economia industriale, cominciò a crescere fortemente e l'Europa giunse a contare, nei primi decenni dell'Ottocento, oltre 140-150 milioni di abitanti, raggiungendo i 270 milioni nel 1850 e i 400 milioni nel 1900, nonostante le grandi migrazioni che portarono nelle terre d'oltremare ben 55 milioni di persone. Questo boom demografico è dovuto a diversi fattori, primo fra tutti il progresso economico portato dalla rivoluzione industriale dei secoli XVII e XVIII, ma anche il calo della mortalità infantile ed il miglioramento delle condizioni generali di vita, che insieme contribuirono a rendere meno frequenti le carestie e, dunque, a diminuire considerevolmente il numero delle morti. Tutto ciò fu determinato dall’aumento della produzione agricola, dallo sviluppo dell’industria, dalla ampia diffusione delle norme igienico-sanitarie e da alcune scoperte nel campo della medicina: fu molto importante, a questo proposito, l’introduzione dei vaccini per prevenire le malattie infettive più diffuse, come il vaiolo, il colera e la tubercolosi.

Nel corso del XX secolo, però, si è passati dalla forte crescita dei primi 50 anni, all'attuale, forte rallentamento. Il tasso medio annuo di crescita demografica tra il 1980 e il 1987 è stato solo dello 0,3% circa; nello stesso periodo la popolazione dell'Asia cresceva di circa l'1,8% annuo e l'America settentrionale di circa lo 0,9% annuo. Notevoli diversità nel tasso di crescita si registrano nei diversi paesi europei, a causa del mutato modo di vita e del diverso grado di benessere. Ad esempio, nei tardi anni Ottanta l'Albania aveva un tasso annuo di crescita demografica pari a circa l'1,9% e la Spagna di circa lo 0,5%, mentre la popolazione della Gran Bretagna non mostrava mutamenti apprezzabili e quella della Germania Orientale calava. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento milioni di europei emigrarono, soprattutto verso l’America, in cerca di migliori condizioni di vita. Nonostante questo fenomeno, nel 1950 la popolazione europea raggiunse i 570 milioni e nel 2000 superava i 730 milioni (dei quali 385 abitavano l’Unione Europea dei 15): in un secolo si è quindi verificato un incremento dell’82%. Si tratta di un aumento notevole, ma decisamente inferiore al 300% riscontrato nello stesso periodo sull’intera superficie terrestre. Il rallentamento dello sviluppo demografico in Europa (e dunque anche nell’Unione Europea) rispetto agli altri continenti, era dovuto, come già detto, soprattutto al calo delle nascite, in atto da alcuni decenni. Gli europei in generale godono della speranza media di vita più elevata alla nascita: 75 anni in gran parte dei paesi, contro i 40-60 anni dell'India e dei paesi africani. Questa situazione ha comunque prodotto l’attuale situazione, detta di “crescita zero”, perché il numero dei nuovi nati è pari o inferiore a quello dei morti.

Le migrazioni poi, volontarie o meno, hanno rappresentato una costante nella vita europea. Nel XX secolo, due movimenti migratori hanno avuto importanti effetti sulla distribuzione della popolazione in Europa: la migrazione da una nazione all'altra di persone in cerca di lavoro e quella dalle zone rurali alle aree urbane. Lavoratori italiani, iugoslavi, greci, spagnoli e portoghesi (insieme a quelli provenienti dalla Turchia, dall'Algeria e da altri paesi extracomunitari ed extraeuropei) si trasferirono - perlopiù temporaneamente - in Germania, Francia, Svizzera, Regno Unito e in altri paesi in cerca di occupazione. Per lo stesso motivo molti europei si spostarono, all'interno dei confini nazionali, dalle campagne alle città. Dal 1950 al 1975, la popolazione dell'Europa occidentale è diventata per il 70-80% urbana; quella dell'Europa orientale e dell'Europa meridionale lo è diventata per il 60%.

Oggi, la popolazione dell’Unione Europea allargata a 25 paesi è pari è quasi 457 milioni di abitanti e la differenza fra ingressi di stranieri ed uscite di emigranti produce un aumento di quasi 2 milioni di persone all’anno. Invece l’aumento naturale, ovvero la differenza fra nascite e morti, è di sole 200 mila unità, sempre all’anno. Questo calo, dell’aumento naturale della popolazione europea, oggi come oggi deriva più dal prolungamento della durata media della vita che dal numero delle nascite. L’invecchiamento degli abitanti è determinato sempre dai nuovi, grandi progressi della medicina e dalla migliore qualità della vita (alimentazione equilibrata, diffusione dell’attività sportiva, ecc.) in tutti i paesi sviluppati e in particolare nelle aree urbane ed industrializzate. La nuova struttura della società, con una percentuale sempre più alta di ultrasessantacinquenni, imporrà notevoli cambiamenti nell’organizzazione dei servizi sociali, del sistema previdenziale e della sanità e la diminuzione nel numero dei giovani fa sì che diminuisca anche il numero delle persone attive, ovvero di quelle persone impegnate attivamente nel sistema economico di ogni proprio paese.

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La distribuzione della popolazione nel territorio

Attualmente l’Europa è la seconda area mondiale più popolosa, dopo l’Asia, in rapporto all’estensione del suo territorio; tuttavia possiamo ancora trovare zone in cui la densità di popolazione è piuttosto scarsa.
L’Europa ha oggi, infatti, all’incirca 700 milioni di abitanti, di cui 457 milioni (dunque i due terzi) abitano nell’Unione Europea, oggi allargata a 25 Paesi.
La densità media della popolazione europea (ovviamente stiamo prendendo in esame solo quella che abita nell’UE) è di 115 abitanti per chilometro quadrato; cifra, questa, determinata dal numero elevato di abitanti (457 milioni) in rapporto alla limitata superficie (3,9 milioni di km2). L’Unione Europea è molto popolata perché è situata in una zona caratterizzata da un clima temperato, particolarmente adatto all’insediamento umano. Risultano poco ospitali, infatti, solo le regioni più settentrionali e orientali, a causa delle temperature molto basse e dell’alta aridità.

La distribuzione della popolazione europea sul territorio non è, però, uniforme: generalmente, come intuibile dalla carta tematica qui sotto illustrata, la densità tende ad oscillare da un massimo di 200 ab./kmq in Italia ad un minimo di soli 10-50 ab./kmq nei Paesi scandinavi e in Scozia.

Sulla carta sono stati poi tracciati alcuni cerchi che semplificano la lettura delle zone più densamente popolate. Queste aree di maggiore popolamento coincidono, in genere, con quelle più ricche di risorse e più sviluppate economicamente, nonché, come detto prima, favorite da un punto di vista climatico.
Tra le aree ricche di riserve minerarie ed energetiche, dove si sono concentrati i principali poli di sviluppo industriale, si possono ricordare la regione londinese e quella delle Midlands in Gran Bretagna, il corso del Reno e il bacino minerario della Ruhr in Germania, la Slesia in Polonia e la Boemia nella Repubblica Ceca.
Tra le aree collocate in luoghi particolarmente favorevoli ai traffici commerciali e alle comunicazioni, quelle in cui i terreni particolarmente fertili hanno consentito un notevole sviluppo di un’agricoltura moderna e produttiva e di una conseguente vivace attività di manifatture industriali, vanno ricordate l’area di Parigi in Francia, l’intera zona dei Paesi Bassi, le Fiandre in Belgio, la Pianura Padana e l’area vesuviana in Italia, le fasce litorali della Penisola iberica.

L’area di massimo popolamento dunque, in cui si registra la massima densità di 200 abitanti per chilometro quadrato, è il quadrilatero dell’Europa centrale, attorno a Bruxelles sede di alcuni organi della UE, che a sua volta comprende le 4 aree urbane più popolate d’Europa:
- Londra e Parigi, metropoli di importanza mondiale che insieme ospitano ben 16,5 milioni di abitanti;
- la Ruhr-Renania in Germania con 12 milioni di abitanti;
- la città anello con Amsterdam (la grande conurbazione nel Randstad-Holland) nei Paesi Bassi con 7 milioni di abitanti.

Attorno a questo baricentro politico-economico dell’UE ci sono tre aree ad alta densità di popolazione, come suggerisce la carta tematica prima illustrata:
- l’Inghilterra centro meridionale;
- la Germania con i grandi porti di Amburgo e Brema, la capitale Berlino, la Renania meridionale e Monaco di Baviera;
- l’Austria con Vienna, la Polonia meridionale (Slesia) e l’Ungheria con Budapest;
- l‘Italia settentrionale con le regioni della Pianura Padana, cui si aggiunge la Toscana settentrionale.
Altre zone ad alta densità si trovano lungo le zone costiere della Penisola iberica, della Francia e dell’Italia meridionale.

Le aree di minor popolamento
Le aree di minor popolamento sono quasi sempre quelle che presentano minori risorse, maggiori ostacoli per le comunicazioni e una situazione ambientale e climatica non sempre favorevole agli insediamenti umani.
Si tratta quindi di gran parte delle aree montuose all’interno dell’Unione Europea, come le Alpi, parte degli Appennini, i Pirenei, i Carpazi; a esse vanno aggiunte le regioni molto aride, come la Meseta in Spagna, oppure quelle molto fredde come le porzioni centro-settentrionali di Svezia e Finlandia e le Highlands scozzesi.

L’incidenza delle migrazioni
Sulla densità della popolazione di un’area geografica, oltre al saldo naturale (ovvero la differenza tra il numero dei nati e quello dei morti), influisce anche il saldo migratorio, cioè la differenza fra il numero degli immigrati e quello degli emigrati.
Lo sviluppo demografico europeo nella seconda metà del XX secolo fu caratterizzato dall’aumento degli immigrati provenienti dall’Africa e dall’Asia.
Il fenomeno prese l’avvio nel decennio 1960-1970 e riguardò in prevalenza persone provenienti dalle ex colonie della Francia e della Gran Bretagna e dirette verso questi due Stati. A partire dal 1980 l’immigrazione s’intensificò e coinvolse gli altri paesi dell’Unione Europea, soprattutto la Germania, l’Italia e la Spagna. Per la prima volta erano presenti le donne, provenienti soprattutto dalle isole Filippine e dalla Somalia. Invece giungevano quasi solo uomini dai paesi islamici afro-asiatici, con netta prevalenza di abitanti del Maghreb, corrispondente alla parte occidentale dell’Africa, tra il Sahara e il Mar Mediterraneo (Marocco, Algeria e Tunisia).
Successivamente, la fine della divisione dell’Europa in “blocchi” contrapposti con la caduta del muro di Berlino nel 1989, e lo squilibrio economico fra l’area orientale e quella occidentale spinsero grandi masse di persone a spostarsi all’interno dello stesso continente europeo.
Questa emigrazione dura tuttora. Infatti, nei paesi dell’Europa occidentale (facenti tutti parte della UE) sono sempre più numerosi gli immigrati provenienti dai paesi ex comunisti dell’Est (alcuni dei quali sono entrati nella stessa UE nel maggio del 2004), dalle regioni della ex Jugoslavia (sconvolte da una lunga guerra civile) e dall’Albania.
Risulta però difficile conoscere il numero esatto delle persone coinvolte nei flussi migratori verso l’Unione Europea, perché i dati ufficiali sono assai lontani da quelli reali, a causa della forte incidenza dei clandestini.

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Le migrazioni

La composizione e la distribuzione attuale della popolazione europea sono frutto della mescolanza di genti e di popoli che, nel corso delle varie epoche storiche, si sono spostati all’interno del continente europeo o che vi sono giunti provenendo da regioni più lontane. I motivi che stanno all’origine di queste migrazioni sono innumerevoli.

All’inizio del millennio precedente l’era cristiana, popolazioni indoeuropee provenienti dall’Asia centrale dilagarono in Europa, e da esse sono discese quasi tutte le genti europee odierne; alcuni di questi antichi popoli, come i celti e gli italici, si insediarono nell’Europa nord-occidentale e meridionale, mentre altri gruppi, come i germani, si insediarono nell’Europa centro-orientale. Con la fine dell’impero romano i germani, stanziati fuori dai confini dell’Impero Romano, invasero l’Europa occidentale e meridionale spinti dalla pressione di altri popoli indoeuropei, gli slavi, provenienti dall’Asia, che a loro volta si insediarono nell’Europa orientale. Nel Medioevo l’Europa conobbe altre invasioni, come quella degli arabi, che conquistarono la Spagna, e quella dei turchi che invasero la penisola balcanica.

Dal XVI al XVIII secolo l’emigrazione dall’Europa interessò soltanto i paesi affacciati sull’Oceano Atlantico, che disponevano di flotte adatte alla grande navigazione oceanica. Gli spagnoli e i portoghesi si trasferirono nell’America centrale e meridionale e la colonizzarono; gli altri popoli si diressero verso l’America settentrionale, detta anglosassone, per il prevalere della lingua e della cultura inglese. In 2 secoli si trasferirono nel Nuovo Mondo circa 5 milioni di europei, appartenenti alle più svariate categorie: agricoltori, soldati, avventurieri, missionari, profughi in cerca di libertà, ecc. Con i popoli europei “emigrarono” anche le loro lingue, le loro tradizioni, le loro religioni e le nuove scoperte scientifiche e tecniche.

L’emigrazione verso l’America ebbe un’accelerazione notevole nei periodi di crisi. Molti irlandesi (circa 100.000 all’anno) vi si trasferirono fra il 1845 e il 1861, a causa di una terribile carestia. Alla fine del XIX secolo e nei primi decenni del XX secolo ci fu un vero e proprio esodo verso l’America, in seguito al fortissimo incremento della popolazione europea e all’aumento della disoccupazione. Circa 70 milioni di persone varcarono l’Oceano Atlantico per cercare lavoro e quasi 50 milioni si stabilirono definitivamente negli Stati Uniti, in Canada, in Argentina e in Brasile. L’emigrazione interessò soprattutto i popoli della Germania e dei paesi poveri dell’Europa, fra cui Spagna e anche Italia (dall’Italia emigrarono ben 10 milioni di abitanti).

Già nel XVII secolo numerosi olandesi si erano stabiliti in Sudafrica e nel Settecento il navigatore inglese J. Cook aveva scoperto l’Australia. Qui si erano dapprima trasferiti gli inglesi e in seguito europei di varie nazionalità. In America e in Australia, infatti, esistevano enormi spazi da coltivare e moltissime risorse da sfruttare, quindi i nuovi arrivati trovarono una situazione favorevole al loro insediamento. Per quasi tutti il trasferimento segnò un netto miglioramento delle condizioni di vita.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale l’Europa ha conosciuto nuovi grandi fenomeni migratori. Lo sviluppo economico degli anni Cinquanta e Sessanta separò nettamente le aree dell’Europa settentrionale, fortemente industrializzate, e le aree affacciate sul Mediterraneo, che continuavano a basare la loro economia sulle tradizionali attività agricole e ad avere quindi gravi problemi di disoccupazione. Si verificarono per ciò grandi fenomeni di emigrazione anche all’interno del continente europeo e della Comunità Europea ai suoi albori. Questi flussi migratori partivano da paesi poveri come l’Italia, la Spagna, il Portogallo, la ex Jugoslavia e la Turchia (che oggi non fa ancora parte dell’UE, ma ha fatto richiesta per entrarvi nel 2007 insieme alla Romania) verso paesi decisamente affermati da un punto di vista economico come la Germania, la Svizzera (anch’essa non fa parte dell’UE, per sua decisione), la Francia e il Belgio. In genere si trattò di migrazioni temporanee: a emigrare erano i capifamiglia, che andavano a lavorare nelle fabbriche e nelle miniere del nord Europa.

Tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta, invece, gli spostamenti fuori e dentro i confini europei hanno subito un rallentamento, ma hanno successivamente avuto una forte ripresa, in forme diverse rispetto al passato. Questa volta a causare la migrazione non è più il divario tra nord e sud dell’Europa, ma è la forte differenza tra l’est e l’ovest dell’Europa, che sussiste ancora oggi. Infatti il crollo dei sistemi socialisti dell’est ha provocato forti spostamenti di popolazione soprattutto dalla ex Jugoslavia, dalla Polonia, dall’Albania e dalla Romania verso tutti i paesi dell’Europa occidentale, in particolar modo verso la Germania. Questo flusso migratorio si è amplificato poi in seguito all’entrata nell’Unione Europea di alcuni di questi paesi dell’Est europeo (come la Polonia, l’Ungheria e le tre repubbliche baltiche dell’Estonia, della Lettonia e della Lituania).

Non è possibile comunque paragonare l’emigrazione degli europei nei secoli scorsi all’immigrazione che attualmente interessa l’Europa. Allora, nonostante le differenze fra i gruppi di emigranti, si trattava di persone provenienti dallo stesso continente e con una certa omogeneità culturale. Invece gli immigrati di oggi provengono da realtà culturali molto diverse fra loro e sono stati spinti a trasferirsi da vari e differenti motivi. Il meccanismo di questa migrazione è stato messo in moto sia dalla grave situazione di miseria di molti paesi africani e asiatici, sia dalla forte attrattiva esercitata dal livello di benessere raggiunto nei Paesi dell’Europa occidentale. Qui il netto miglioramento delle condizioni di vita induce i giovani a rifiutare i posti di lavoro faticosi e dequalificati, che vengono poi ricoperti proprio dagli immigrati. Purtroppo molti individui giungono clandestinamente nel nostro continente, perciò sono costretti a una vita precaria, ai margini della società. Di solito si stabiliscono nei grandi centri urbani, dov’è più facile trovare un’occupazione, ma anche svolgere attività illegali.

Negli ultimi tre decenni, dunque, l’Europa così come l’Unione Europea hanno conosciuto un enorme flusso di popolazione proveniente dalle aree più povere del mondo. All’inizio le immigrazioni partivano dalle ex colonie dirette verso gli antichi paesi colonizzatori europei: così si sono formati degli assi di migrazione dall’Algeria e da altri paesi nordafricani verso la Francia, oppure dall’India e dal Pakistan verso la Gran Bretagna. Oggi gli immigrati provengono da tutte le aree del mondo, soprattutto dall’Africa (Marocco, Algeria, Tunisia, Senegal, Somalia) ma anche dall’Asia (Filippine, India, Cina, Sri Lanka) e dall’America Latina, e sono diretti verso tutti i Paesi dell’Europa occidentale, compresa l’Italia, che tradizionalmente è stata invece terra di emigrazione.

Oggi, la popolazione dell'Ue allargata a 25 Paesi è pari a circa 457 milioni di abitanti ed è aumentata l'anno scorso (2005) di quasi 2 milioni di abitanti (pari ad un +0,4%), soprattutto a causa dell'afflusso di immigrati.
Secondo i dati pubblicati dall'ufficio statistico dell'UE, la migrazione netta (differenza fra ingressi di stranieri ed uscite di emigranti) ha prodotto un aumento di 1,7 milioni di persone, mentre l’aumento naturale della popolazione Ue, cioè la differenza fra nascite e morti, è stata di sole 200 mila unità. Le variazioni vanno dalla massima contrazione relativa di abitanti registrata in Lettonia (-5,5 per mille) al maggiore aumento avutosi a Cipro (+18 per mille). Sul fronte degli aumenti demografici seguono la Spagna (+14 per mille) e l'Italia per la quale l’Eurostat riporta un aumento del 9 per mille spiegato (con una nota a parte) attraverso "l'alto numero di regolarizzazioni di stranieri": la variazione è dunque "artificialmente gonfiata" in quanto "alcune delle persone calcolate nei flussi odierni potrebbero essere arrivate nel Paese in anni precedenti". Germania e Francia segnano rispettivamente 2 e 1 per mille.
In generale, nell'Unione Europea dei 25 c'é stato un aumento degli abitanti in tutti i paesi ad eccezione degli stati baltici (Lettonia, Estonia, Lituania), Polonia ed Ungheria, la cui riduzione degli abitanti è dovuta, probabilmente, nella maggior parte dei casi, all'emigrazione verso i paesi sviluppati dell’UE.
Calcolando tutti gli immigrati regolari e censiti, la popolazione dell'UE rappresenta ora il 7,5% di quella mondiale, con circa 457 milioni di abitanti: ben dietro alla Cina (1,295 miliardi di persone) e l'India (1,057 miliardi) ma davanti ai 292 milioni di abitanti degli Usa.

Dei circa 457 milioni di europei censiti negli ultimi tre anni (dal 2003 al 2006), ben 308,5 milioni abitano nei 12 Paesi della zona euro e 74 milioni nei dieci Stati che hanno aderito all'unione nel maggio del 2004 (nella 'vecchia' UE a 15 la popolazione era di 382,5 milioni).

L'immigrazione, tra l’altro, è stata iscritta dal trattato di Maastricht fra le questioni d'interesse comune che dipendono dalla cooperazione intergovernativa nel campo degli affari interni. Ma una politica europea in materia ancora non esiste. Contrariamente a quanto accaduto per i cittadini europei, non sono state elaborate norme comuni sull'ingresso e il soggiorno nel territorio UE dei cittadini di Paesi terzi. Per ora, la materia resta di competenza esclusiva degli Stati membri. La Comunità europea ha potuto tuttavia adottare misure in materia di occupazione e di prestazioni di servizi. Il Consiglio ha inoltre adottato principi comuni ai 25 Stati membri su vari temi come adozione di un modello uniforme di permesso di soggiorno, rientro volontario, ricongiungimento familiare, rimpatrio degli immigrati illegali, residenti a lungo termine.

La Commissione ha proposto nel 1997 un progetto di convenzione sulle norme di ammissione dei cittadini di Paesi terzi negli Stati membri.

Riguardo all'occupazione dei cittadini di paesi terzi, la raccomandazione del Consiglio del 27 settembre 1996, che mira a lottare contro l'occupazione illegale di cittadini di paesi terzi, prevede una maggior cooperazione tra gli Stati membri in tema di politica d'immigrazione dai paesi terzi.

Al paragrafo 3 dell'articolo 63 del trattato CE il trattato di Amsterdam prevede che il Consiglio definisca entro il 2004 anche disposizioni relative alla definizione di uno statuto giuridico comune degli immigrati legali, alla lotta contro l'immigrazione clandestina, al coordinamento dei provvedimenti di allontanamento e di rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare, alle condizioni di ingresso e di soggiorno.

Per gestire più efficacemente i flussi migratori, il Consiglio europeo di Tampere ha chiesto il lancio di campagne d'informazione nei paesi d'origine e di transito in modo da prevenire l'immigrazione illegale e il traffico di esseri umani. Nel giugno del 2001 il Consiglio ha adottato una direttiva concernente le sanzioni pecuniarie. A questo proposito la Commissione ha presentato un'iniziativa relativa allo statuto dei cittadini dei paesi terzi residenti di lungo periodo.

Nel febbraio del 2002 è stata inoltre presentata una proposta che mira a estendere le disposizioni del regolamento n. 1408/71 ai cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente in uno degli Stati membri. L'adozione di tale regolamento permetterà di risolvere i problemi legati ai regimi di sicurezza sociale applicabili ai cittadini non europei, ma il regolamento non costituirà in alcun modo uno strumento per l'attribuzione di un diritto di soggiorno, di residenza o di accesso al mercato del lavoro.

In una comunicazione del 1999 dedicata al ricongiungimento familiare la Commissione ha affermato la sua intenzione di affrontare tutti gli aspetti relativi all'ingresso e al soggiorno dei cittadini di paesi terzi, in particolare l'ingresso e il soggiorno a fini di studio, di esercizio di un'attività dipendente, autonoma o non remunerata.

In alcune città esistono veri e propri quartieri a forte maggioranza di stranieri, nei quali talvolta sorgono problemi di convivenza con gli altri cittadini. Il rapporto con gli immigrati (detti extracomunitari perché non appartengono ai paesi dell’Unione Europea, una volta chiamata Comunità) non è facile, in quanto si tratta di popoli diversi con proprie esigenze culturali, sociali e religiose. Per contenere, almeno in parte, il persistente flusso migratorio sono necessari alcuni interventi, che vengono dettati anche nei Trattati di Schengen, di Tampere e di Amsterdam, come:
- la regolamentazione del numero degli immigrati in base alle effettive possibilità di integrazione;
- la predisposizione di centri di accoglienza alle frontiere;
- piani d’investimento pubblico per creare nuovi posti di lavoro.

Ma la soluzione migliore rimane sempre quella di intervenire direttamente sulle cause del fenomeno, cioè tentare di eliminare gli squilibri economici fra mondo sviluppato e Terzo Mondo, obiettivo oggi sempre più utopico; per raggiungere questo obiettivo sarebbe infatti necessaria la cooperazione di tutte le grandi potenze economiche mondiali. Intanto gli europei si abituano a vivere in una società multietnica, dove uomini di etnie, religioni e abitudini diverse abitano nelle stesse località.

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UE "torre di Babele: culture, lingue e religioni"

L’Unione Europea, così come l’Europa, è, oggi più di prima, un mosaico, una costellazione di popoli che parlano lingue diverse e sono accomunati solo dalla religione cristiana. Per questo ci verrebbe spontanea paragonarla ad una sorta di “torre di Babele”, in cui tra l’altro confluiscono anche le minoranze culturali degli immigrati, spesso provenienti dal Sud del Mondo, perciò extracomunitari.

Lingue

Le lingue indoeuropee
In Europa, come già detto, si parlano molte lingue, in conseguenza della formazione degli stati nazionali nei secoli scorsi. Fra esse esiste, però, una certa omogeneità, perché quasi tutti i popoli europei parlano lingue indoeuropee, come testimonia la presenza di vocaboli comuni a quasi tutte le lingue. Queste derivano da un’antica lingua, quella indoeuropea appunto, usata dagli abitanti della Russia meridionale e successivamente, all’inizio del II millennio a.C., diffusasi in una vasta regione compresa l’Europa e l’India. Tuttavia, a seconda della storia delle popolazioni che le parlavano, le lingue hanno subito una diversa evoluzione nel corso dei secoli, tanto da permetterci di identificare tre grandi famiglie linguistiche:
- le lingue neolatine o romanze;
- le lingue germaniche;
- le lingue slave.

Le lingue neolatine o romanze
Il latino in origine era una lingua parlata in una regione dell’Italia, il Lazio attuale. Con l’espansione dell’Impero romano si diffuse in vaste zone d’Europa, imposta dagli eserciti romani sulle popolazioni conquistate. Alla caduta dell’Impero (476 d.C.), con l’arrivo dei “barbari”, il latino non scomparve ma si fuse con le lingue germaniche. Nacquero così le lingue “neo-latine”, diffuse nelle seguenti aree geografiche principali:
- l’italiano in Italia, ma anche in Corsica e nel Canton Ticino;
- il francese in Francia, ma anche nel Belgio meridionale, in parte della Svizzera e in Val d’Aosta;
- lo spagnolo in Spagna, dove in una zona si parla anche il catalano;
- il portoghese in Portogallo;
- il rumeno in Romania, che è un’isola linguistica in mezzo a popoli di lingua slava (la Romania ha fatto richiesta di aderire all’UE nel 2007 insieme alla Bulgaria).

Le lingue germaniche
L’origine dei popoli germanici si trova probabilmente nella pianura tedesca. Da qui le tribù teutoniche (appunto i Germani, che i Romani chiamavano “barbari”) si propagarono, nei secoli prima di Cristo, a est e a sud; più tardi invasero le terre dell’Impero Romano. Oggi le lingue germaniche sono diffuse nel centro e nel nord dell’Europa:
- il tedesco in Germania, Austria, Svizzera orientale, Alto Adige;
- l’inglese nelle Isole Britanniche, a Malta e Gibilterra;
- l’olandese in Olanda, il fiammingo nel Belgio settentrionale;
- il danese, il norvegese, lo svedese e l’islandese, nei rispettivi paesi scandinavi (dei quali Norvegia ed Islanda non fanno attualmente parte dell’UE).

Le lingue slave
Anticamente gli slavi erano insediati tra la Vistola e l’Oder, in un territorio coperto da boschi e paludi. Un incremento di popolazione, tra il 100 e il 500 d.C., spinse queste tribù fuori dai territori originari: a nord e a est verso le pianure russe, a sud verso la penisola balcanica, dove stava tramontando il dominio romano. La vastità del territorio occupato dalle genti slave ha creato alcune differenze tra le lingue:
- al centro dell’area originaria si parla il polacco, il ceco e lo slovacco; - a est si parla il russo (la lingua slava più diffusa), l’ucraino e il bielorusso; - a sud, separate da due isole di lingue diverse, si parlano lo sloveno, il croato, il serbo e il bulgaro.

Altre lingue indoeuropee
Altre lingue di origine indoeuropea, non comprese nelle tre grandi famiglie, sono:
- il lettone e il lituano, lingue parlate nelle rispettive repubbliche baltiche di Lettonia e Lituania;
- il greco, l’albanese e il turco, lingue locali rispettivamente della Grecia e di Cipro, dell’Albania e della Turchia (quest’ultime due non facenti parte dell’UE);
- tra le minoranze ci sono le lingue celtiche, lingue indoeuropee parlate anticamente; ancora oggi sopravvivono in piccole zone della Gran Bretagna (scozzese e gallese), dell’Irlanda (gaelico), della Francia (bretone).

Le altre lingue
In Europa si parlano anche alcune lingue di origine non indoeuropea. Queste lingue dimostrano la presenza di popoli indigeni preesistenti agli indoeuropei o di popoli giunti successivamente. Si tratta delle lingue uralo-altaiche o ugro-finniche:
- il finlandese, parlato in Finlandia e Lapponia;
- l’ungherese, parlato in Ungheria;
- l’estone, parlato in Estonia;
- il basco, parlato in Spagna nella regione omonima al confine con la Francia.

L’importanza dei dialetti
In Europa le aree linguistiche corrispondono quasi ovunque ai confini dello Stato all’interno del quale ciascuna di esse viene utilizzata come lingua nazionale. Tuttavia, accade abbastanza spesso che in alcuni Stati, come il Belgio, la Spagna, la Francia e la stessa Italia, siano presenti gruppi di popolazione che parlano lingue diverse: i dialetti, che spesso, ma non sempre, sono considerati alla pari delle lingue. Quando questi gruppi sono numericamente equivalenti tra loro, o comunque tutti rilevanti, la nazione tende ad accettare tutte le lingue parlate come lingue ufficiali: è il caso del Belgio, al cui interno vengono parlati sia il francese (dai valloni) sia il fiammingo (dai fiamminghi).
A volte, però, questi gruppi costituiscono ristrette minoranze rispetto al resto della popolazione, e questa situazione genera spesso conflitti, in quanto le minoranze identificano giustamente nella lingua il simbolo della propria identità ed autonomia. Così avviene in Spagna, dove vi sono due vivacissime minoranze etnico-linguistiche, basca e catalana; e così anche in Francia, dove le minoranze sono quelle basca, corsa, bretone e provenzale, o in Gran Bretagna, con la minoranza celtica.
In ogni caso, queste minoranze e diversità etnico-linguistiche devono essere tutelate e valorizzate, e lo stesso discorso varrà per le diversità religiose di cui approfondiremo nei paragrafi successivi.
A questo scopo, comunque, proponiamo la filosofia dell’Unione Europea, giusta e democratica, in questo campo:
- L'Unione Europea riconosce e garantisce i diritti inalienabili dell'uomo, sia come individuo sia come membro di un gruppo sociale, linguistico, culturale o religioso.
- Tutti i cittadini dell'Unione hanno stessa dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza differenza di genere, colore della pelle, lingua e credo, convinzioni politiche, status personale e sociale. É compito dell'Unione eliminare le barriere economiche, sociali o linguistiche che di limiterebbero di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini dell'Unione impedendo il pieno sviluppo della persona ed una partecipazione efficace alla vita politica, economica e sociale.
- L'Unione riconosce ed incentiva con particolari disposizioni le minoranze. Gli appartenenti a minoranze religiose o etniche hanno il diritto di usare insieme e pubblicamente la propria lingua e di coltivare la propria cultura.

Religioni

La religione cristiana
In campo religioso l’Unione Europea, così come l’Europa, ha una forte omogeneità, perché la stragrande maggioranza degli europei che professano una religione sono cristiani. Per molti secoli religione cristiana e civiltà europea si sono addirittura identificate.
La religione cristiana ha come base gli insegnamenti della Bibbia, formata dall’Antico Testamento e dal Vangelo. Il calendario cristiano (calendario gregoriano) ha come anno zero la nascita di Cristo. Nel corso dei secoli sono avvenute varie scissioni all’interno della chiesa cristiana e anche oggi abbiamo tre confessioni principali: cattolica, ortodossa, protestante.
- I cristiani cattolici riconoscono l’autorità del Papa, vescovo di Roma che ha sede nella Città del Vaticano, e sono il gruppo più numeroso. Sono in maggioranza nei paesi neolatini (Italia, Francia, Spagna e Portogallo), ma anche in Polonia, Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca, Austria e la Repubblica d’Irlanda. Sono circa la metà in Germania (e in Svizzera).
- I cristiani protestanti appartengono ai diversi movimenti nati dalla Riforma luterana del Cinquecento. Essi riconoscono come unica base della fede la Sacra Scrittura, come unici sacramenti il battesimo e l’eucaristia. Sono a loro volta frammentati in gruppi abbastanza piccoli: luterani, calvinisti, anglicani, metodisti, quaccheri, ecc. Costituiscono la maggioranza nel Regno Unito e nei paesi scandinavi (Norvegia, Svezia, Finlandia, Danimarca). Rappresentano circa la metà in Germania (e in Svizzera).
- I cristiani ortodossi orientali sono legati al patriarca di Costantinopoli (oggi Istanbul). Tuttavia sono divisi in varie chiese nazionali, come la greca, la serba, la bulgara, la rumena e la russa. Costituiscono la maggioranza nell’Europa dell’Est (Russia, Ucraina, Bielorussia e le tre repubbliche baltiche di Estonia, Lettonia e Lituania), nella penisola balcanica (Romania, Bulgaria, ex Jugoslavia), in Grecia.

Altre religioni professate ed elementi di tensione
Vengono professate in Europa anche altre religioni, benché si tratti di minoranze ristrette:
- musulmana, diffusa nei Balcani e professata soprattutto da moltissimi immigrati extracomunitari provenienti dall’Africa bianca e dalla stessa penisola balcanica (ex Jugoslavia ed Albania);
- ebrea, diffusa un po’ in tutti i paesi europei.

La religione motivo di divisione
La religione può essere motivo di divisione e non di unione dei popoli. Basti pensare, per farci un’idea, alle continue tensioni tra sunniti e sciiti nel mondo islamico.
Parecchie sono le fedi religiose professate in Europa e in alcuni casi esse sono alla base di conflitti etnici anche molto violenti, come testimoniano le realtà dell’Irlanda del Nord e della Bosnia Erzegovina. L’Irlanda del Nord (o Ulster) dal 1921, anno in cui è stata proclamata l’indipendenza della Repubblica d’Irlanda, vive in condizioni di vera e propria guerra civile. Nell’Ulster, che è rimasto nel Regno Unito, la maggioranza della popolazione è infatti di origine inglese e di religione anglicana ed è in perenne confitto con la minoranza irlandese, di religione cattolica, che vorrebbe la riunificazione dell’Ulster alla Repubblica d’Irlanda.
La religione qui è divenuta una vera e propria bandiera per un conflitto di nazionalità, che ha causato sino ad oggi centinaia di vittime in attentati.
In Bosnia Erzegovina, invece, dove appare appena conclusa una sanguinosissima guerra civile, una delle fazioni del conflitto era rappresentata proprio da una minoranza di religione musulmana.

Per contestualizzare questo discorso ai giorni nostri ci viene spontaneo pensare a come oggi, con i problemi legati al terrorismo ed al fondamentalismo islamico, la religione sta diventando come non mai un vero e proprio elemento di tensione che spesso porta alla xenofobia, ovvero ad una paura irrazionale, nei confronti di tutti i musulmani in generale. Non solo. Basti pensare alla questione del crocifisso nelle aule che risale all’ottobre del 2003, in Italia, o alla questione scandalosa legata alle vignette che raffigurano Allah, sempre in Italia proprio quest’anno (2006), che la religione islamica fortemente contrasta per propri principi (Allah non può essere riprodotto o raffigurato in alcuna maniera perché la sua natura divina non si può né descrivere né rappresentare). Ma questi sono solo i fatti più eclatanti: moltissimi altri accadono purtroppo giorno dopo giorno, anche nel nostro piccolo.
Non solo nei confronti delle comunità musulmane ma anche nei confronti di quelle ebraiche. Sono tanti i casi di intolleranza nei confronti degli ebrei (anche in Italia), alcuni dei quali, piuttosto violenti, riportano alla luce un fantasma che sembrava relegato per sempre nei bassifondi del passato. Ebbene no, basta fare un salto nel portale del Centro di documentazione ebraica (Milano).
E il discorso dall’Italia va “europeizzato”, se non “globalizzato”, a tutti gli altri Paesi in cui il modello di una società multietnica sta diventando una realtà (vedi Razzismo ed elementi di tensione legati alla multiculturalità).

In occasione della questione inerente la presenza del crocifisso nelle aule (risalente all’ottobre 2003) si pronunciò anche l’allora Papa Giovanni Paolo II:

“La coesione sociale e la pace non possono essere raggiunte cancellando le peculiarità religiose di ogni Popolo”.

Ne era convinto Giovanni Paolo II, che ha affrontato il tema dei simboli religiosi in una società multietnica come quella italiana. Il tentativo di cancellare i simboli religiosi, spiegò il Papa con un chiaro riferimento alla controversa ordinanza del Tribunale dell'Aquila (che aveva dato disposizione di togliere i crocifissi dalle aule), oltre che vano risulterebbe poco democratico, perché contrario all’anima delle Nazioni ed ai sentimenti della maggioranza delle loro popolazioni. Secondo Papa Wojtyla, infatti, “il riconoscimento dello specifico patrimonio religioso di una società richiede il riconoscimento dei simboli che lo qualificano”.
“Se, in nome di una scorretta interpretazione del principio di eguaglianza, si rinunciasse ad esprimere tale tradizione religiosa, la frammentazione delle odierne società multietniche e multiculturali potrebbe facilmente trasformarsi - avvertì il Pontefice - in un fattore d’instabilità e di conflitto”.
Giustamente Giovanni Paolo II ricordò che “l'Europa è nata dall'incontro di diverse culture con il messaggio cristiano”. Ed è questo il presupposto dal quale occorre partire per una corretta integrazione con le “varie tradizioni culturali e religiose che il Vecchio Continente vede oggi crescere nel suo seno, a causa dell'immigrazione”.
“Non mancano - ha osservato - esperienze di fruttuosa collaborazione e gli sforzi attuali per un dialogo interculturale ed interreligioso lasciano intravedere una prospettiva di unità nella diversità”. Occorre dunque “un adeguato riconoscimento, anche legislativo, delle specifiche tradizioni religiose di ogni Popolo”.
Ed è lo stesso discorso fatto prima e riguardante le minoranze linguistiche nell’Unione Europea.

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Razzismo ed elementi di tensione legati alla multiculturalità

L’Unione Europea è una costellazione di tanti popoli diversi ed ogni popolo è come una stella, che ha il suo sistema e la sua autonomia, ed interagisce - deve interagire - con le altre stelle che la circondano.

L'integrazione culturale ed il rispetto della multiculturalità nell’Unione Europea non sarà realizzata né in un giorno, né in qualche decennio: le lacune sono ancora numerose, le imperfezioni evidenti. L'impresa avviata all'indomani della seconda guerra mondiale era talmente nuova! Ciò che nei secoli o millenni scorsi poteva avvicinarsi a un tentativo di unione era di fatto il frutto della vittoria degli uni sugli altri. Queste costruzioni non potevano durare e i vinti avevano la sola aspirazione di recuperare la loro autonomia e la loro potenza, soprattutto economica.
Oggi la meta, dal momento che non è bastata l’economia a fare da collante tra i diversi membri dell’UE, è un'altra: costruire un'Europa dei popoli, che rispetti la libertà e l'identità di ciascun gruppo etnico di cui è composta. Solo l'unione dei popoli, nel rispetto e nella tolleranza tra questi, nonché nella loro valorizzazione, può garantire all'Unione Europea la sovranità sul suo destino e il suo prestigio, nonché il suo successo nel mondo. L'Unione Europea deve stare all'ascolto e al servizio di tutti quanti i suoi cittadini. Pur mantenendo la sua specificità, le sue abitudini di vita, la sua lingua, la sua religione, ogni cittadino, anche immigrato o extracomunitario, deve tuttavia sentirsi a casa nella patria europea nella quale può circolare liberamente.

Problemi di integrazione e intolleranza
È risaputo che il problema del razzismo e della xenofobia è strettamente collegato anche all’immigrazione. Come abbiamo già detto in precedenza (vedi Migrazioni) il problema dell’immigrazione dei Paesi in via di sviluppo (compresi gli stessi Paesi europei dell’Est) si è fatto sentire in modo consistente negli ultimi due decenni; in questo periodo infatti la situazione economica di molti paesi poveri è ulteriormente peggiorata e ha fatto aumentare il numero di persone che emigrano alla ricerca di un’occupazione.
In molti casi, però, la convivenza con i nuovi gruppi di popolazioni sta creando problemi di integrazione a causa dei differenti usi e costumi; tuttavia il problema più grave è derivato dal fatto che anche per gli europei ci sono oggi forti problemi di disoccupazione.
I timori per il lavoro e, soprattutto, i pregiudizi nei confronti di culture differenti hanno dato origine a movimenti razzisti, che si ispirano alle idee del nazismo, e alla nascita di movimenti xenofobi che vogliono l’espulsione degli stranieri dai rispettivi paesi.

L'Unione Europea, dal canto suo, sta attivamente affrontando le questioni inerenti i diritti e la tutela di queste minoranze, sia comunitarie che extracomunitarie, visto che il pluralismo linguistico e culturale è fissato anche negli articoli 149 e 151 dell'Accordo di Maastricht, e che questo principio viene ribadito nell'articolo 22 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE

“L’Unione rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica.”

e difeso, salvaguardato dall’articolo 21 della stessa Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE
“È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, a lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali.”

La Commissione europea ha emanato anche un Bando, risalente al 28 febbraio dell’anno scorso (2005), per attività contro il razzismo e la xenofobia e per la promozione dei diritti delle minoranze nell'ambito del programma EIDHR.
Azioni:
1. Lotta contro razzismo e xenofobia
Progetti finalizzati all’elaborazione e implementazione di efficaci misure nazionali volte a combattere la discriminazione fondata sulla razza, l’origine etnica o lo status di minoranza.
Attività:
- sostegno alla creazione di meccanismi che permettano il monitoraggio di atti di discriminazione, xenofobia e relativa intolleranza;
- sostegno per lo sviluppo di procedure amministrative e legali efficaci per offrire risarcimento alle vittime di razzismo e xenofobia;
- preparazione e presentazione di materiali di insegnamento per le scuole al fine di rafforzare l’antirazzismo e l’antisemitismo, sensibilizzare sui vantaggi della diversità delle culture.
2. Promozione dei diritti delle minoranze
Progetti focalizzati sui seguenti aspetti:
- formazione dei leader delle comunità, delle donne e dei giovani;
- aiuto alle minoranze etniche al fine di ottenere un miglior accesso alla giustizia;
- miglioramento della partecipazione delle minoranze etniche alla vita pubblica;
- miglioramento dei diritti culturali, linguistici e religiosi.
Infine, la maggior parte degli Stati europei ha approvato sia la Convenzione Quadro per la tutela delle minoranze nazionali sia la Carta del Consiglio Europeo sulle lingue regionali e minoritarie. Allo stesso modo, anni fa la maggior parte dei paesi europei occidentali ha ratificato il "Patto Internazionale per i diritti civili e politici", il quale recita all'articolo 27:

"In paesi con minoranze etniche, religiose o linguistiche, gli appartenenti a tali minoranze non possono essere privati del diritti di coltivare assieme ad altri membri di tale minoranza la propria cultura, di esercitare la propria religione e di usare la propria lingua."

Altri articoli tratti dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE sono:

ARTICOLO 1
“La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata.”
ARTICOLO 6
“Ogni individuo ha diritto alla libertà e alla sicurezza.”
ARTICOLO 10
“Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o convinzione, così come la libertà di manifestare la propria religione o la propria convinzione individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti.”
ARTICOLO 20
“Tutte le persone sono uguali davanti alla legge.”
ARTICOLO 23
“La parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione. Il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato.”

Razzismo
Tradizionalmente il termine “razza” indica uno dei numerosi gruppi in cui gli studiosi del secolo scorso suddivisero la nostra specie. Infatti, si è ritenuto fino a poco tempo fa che la “razza” fosse definita da ben precise caratteristiche fisiche ereditarie, che la distinguevano da tutte le altre appartenenti alla specie umana: il colore della pelle, la quantità di peli sul corpo, l’altezza, la forma del cranio, degli occhi, la grandezza del naso, l’aspetto dei capelli, e così via. Questo concetto, familiare a molte culture per lunghi periodi storici, si è rivelato, in età moderna, sempre più discutibile da un punto di vista biologico e sociologico: gli uomini appartengono a un’unica specie biologica, quella dell’Homo sapiens, e mostrano minime variazioni genetiche. Storicamente, gli antropologi fisici dividevano l’umanità in tre gruppi razziali: negroidi, mongolici, caucasici; altri aggiungevano a questi gli Indiani d’America e gli oceanici.
La razza caucasica, per esempio, aveva la pelle chiara, capelli lisci o ondulati, occhi chiari, statura medio-alta; la razza negroide, invece, aveva la pelle nera o bruno-scura, capelli crespi, pochi peli sul corpo, labbra grosse e naso schiacciato; e così via.
Nella seconda metà del Novecento la nozione di razza è stata sottoposta a una critica serrata, innanzitutto sul piano scientifico. Ad esempio, in India vivono milioni di individui che, pur avendo la pelle scura, hanno gli altri caratteri di tipo caucasico; nell’Africa meridionale, inoltre, risiedono popolazioni con gli occhi a mandorla come i cinesi, che apparterrebbero alla razza mongolica.
Ma questa classificazione razziale è stata messa ulteriormente in discussione dallo sviluppo della genetica, che ne ha dimostrato la fragilità. Finché venivano prese in considerazione soltanto le caratteristiche superficiali era possibile, infatti, definire razze distinte.
La biologia moderna perciò non accetta più queste rozze classificazioni: essa preferisce parlare di “popoli”, di culture, i cui caratteri sono molti più complessi, si modificano nel tempo ed esulano dalle caratteristiche somatiche di ogni singolo individuo facente parte del popolo stesso. Ma c’è anche una ragione culturale per la quale il concetto di “razza” è stato oggi abbandonato: esso, infatti, attribuisce a ogni gruppo umano delle qualità o dei difetti, mentali e culturali. Quindi, anche questi, al pari del colore dei capelli o della pelle, sarebbero stati ereditari e immutabili. Ecco il motivo per cui, negli anni nel nazifascismo, si parlava di una razza migliore, la razza bianca (quella caucasica), una razza superiore a tutte le altre, una razza eletta, destinata a dominare le atre inferiori per natura.
“Quando Dio vide gli uomini che aveva creato, si spaventò: erano tutti neri. Allora li mandò a lavarsi in una pozza della savana. I più attenti alle parole del creatore, si affrettarono e si lavarono bene, dando origine agli uomini bianchi. Quando arrivarono gli ultimi, l’acqua era finita, cosicché poterono lavarsi solo i palmi delle mani e dei piedi: in tal modo sono fatti i neri.” Questa è una delle leggende africane sul perché esistano persone di pelle diversa, per esempio.
Le precedenti “teorie razziste”, utilizzate per giustificare le imprese coloniali, lo sfruttamento e la segregazione attuale degli Europei, si smentiscono da sole appena si confrontano con i grandi risultati economici, tecnici e culturali che l’umanità deve a Cinesi, Giapponesi, Africani, Indiani, Neri Americani e così via. Basterebbe scorrere la lista dei Premi Nobel contenuta in un’enciclopedia per rendersene subito conto.

Diversità
Esseri uguali, essere diversi: un tema di grande attualità nel dibattito di oggi, ma anche un’esperienza quotidiana di tutti noi. La nostra mentalità sociale ci porta a pensare che l’uguaglianza sia un bene e la diversità un male, un difetto. Ma in realtà la prima domanda da porsi, prima di dare dei giudizi di valore, è: uguali in che cosa? diversi in che cosa?
È chiaro che l’uguaglianza nell’esser uomo, con una dignità e dei diritti che ne derivano, è un principio di base di ogni società, dunque anche dell’Unione Europea e di tutti i Paesi membri facenti parte; ma, d’altra parte, la differenza individuale, di sesso, di lingua, di religione, di cultura, di opinioni e di provenienza è una grande ricchezza per tutti.
La specie umana, come del resto le altre specie di essere viventi, si sviluppa e si arricchisce proprio grazie alla diversità, al contatto e alla “fusione” di gruppi etnici diversi, che le permettono non solo di adattarsi alla pluralità degli ambienti del mondo, ma anche di individuare iniziative e soluzioni nuove e creative ai problemi.
Se la differenza tra gli individui è una ricchezza, e va preservata, la disuguaglianza di condizioni di vita e di trattamento nei confronti di ciascun individuo non è invece più accettabile in un mondo che, come il nostro, è ricco di risorse, speranze e sicurezze, ma le riserva solo ad alcuni dei suoi abitanti: ecco allora il problema di chi è ricco e di chi è povero, di chi può vivere dignitosamente e di chi invece è costretto ad emigrare, dei Paesi del Nord e di quelli del Sud del mondo.
La soluzione, quindi, per l’effettiva creazione di una “società basata non sull’odio bensì sull’amore”, come diceva Papa Giovanni Paolo II durante il suo pontificato, sta nell’acquisizione di una nuova mentalità e di una nuova concezione del “diverso”, come quella dimostrata dal grande scienziato, ebreo, Albert Einstein che, a un funzionario di polizia di frontiera il quale gli aveva posto la domanda di rito “Razza?”, rispose “Umana!”, con una semplicità soltanto apparente.

Stop alla discriminazione
Ancora oggi, purtroppo, alcuni considerano il “diverso” come un “subumano”, un essere inferiore da fiaccare con ogni mezzo. Partendo da questa logica è facile suddividere l’umanità in amici e nemici, in buoni e cattivi. Pur sapendo che questa stessa logica è completamente sbagliata e contrasta con l’umanità stessa.
Ancora oggi, purtroppo, nelle democrazie europee occidentali le persone sono discriminate per il colore della loro pelle, la loro cultura, provenienza, religione, ecc.
La Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE contiene sì un divieto di discriminazione (purtroppo un divieto non vincolante che non permette una rivendicazione per vie legali), ma sarebbe bene assicurare che questo divieto valga non solo per i cittadini dell'Unione Europea, ma anche per i cittadini extracomunitari, cioè per tutte le persone che vivono nell'Unione Europea.
Occorre dire, innanzitutto, che esistono differenti forme di razzismo. Spesso, quasi per “stereotipo”, si tende a pensare ad un razzismo del bianco contro il nero, o contro un’altra razza, che è sicuramente la forma di razzismo più diffusa e più preoccupante. Esistono, però, varie forme di intolleranza e pregiudizio che soggiacciono a pregiudizi ben radicati nella nostra cultura, come ad esempio:
- la discriminazione nei confronti del sesso, per cui spesso la donna (come evidente nel mondo del lavoro) riceve trattamenti e considerazioni “inferiori”, se così si può dire, rispetto agli uomini;
- la discriminazione nei confronti della religione, per cui spesso le comunità minoritarie, come quelle islamiche ed ebree, vengono allontanate ed isolate, soprattutto a causa dell’integralismo e del fondamentalismo islamico;
- la discriminazione nei confronti della lingua, per cui spesso alcuni dialetti, parlati in aree regionali da minoranze, diventano simbolo dell’essere scarsamente istruiti, dell’essere analfabeti, dell’essere rozzi (il dialetto sardo ne è un esempio);
- la discriminazione nei confronti delle opinioni personali, per cui spesso si hanno pregiudizi nei confronti di chi è global o no-global, di chi è fautore o meno della pena di morte, di chi è contrario alla guerra o alla pace, di chi sostiene la musica commerciale e chi la deprava;
- la discriminazione nei confronti di chi ha particolari tendenze sessuali, per cui spesso si allontanano gli omosessuali, visti come vere e proprie “alterazioni e capovolgimenti naturali”.

Come intuibile, il razzismo agisce e si manifesta in diversi campi della nostra vita quotidiana: nella vita lavorativa, nella vita civile, nella vita religiosa, nella vita scolastica, nella vita politica e anche nella vita sportiva. Poiché sarebbe dispersivo e poco chiaro, esplicativo ed illuminante, alla fin dei conti, esaminare per ogni campo i molteplici episodi di intolleranza e di discriminazione razziale e culturale, abbiamo deciso di approfondirne uno, quello che riguardo lo sport e, nello specifico, il calcio, che ci permette non solo di verificare come avvenga l’integrazione razziale e culturale in questo contesto, ma ci permette anche di venire a conoscenza di come l’Unione Europea interagisce con il mondo dello sport e, dunque, con il problema inerente lo stesso razzismo.

Il razzismo nel calcio
Dopotutto il calcio è un tema di grande attrattiva ed attualità, considerando la prossimità dei Mondiali di Germania 2006, e dovrebbe essere il simbolo, l’emblema dell’integrazione razziale e culturale, dal momento che molteplici club professionistici assumono ed accolgono atleti (i calciatori) di diverse nazionalità. Molti sono infatti, soprattutto nei grandi club europei, ma non solo, i calciatori che provengono da diversi Paesi del mondo, anche e soprattutto del Sud del mondo, e che quindi non sono originari del Paese dove gioca il loro club contrattuale. Per quanto ci possa sembrare strano, in quanto la nostra concezione di immigrato è ben diversa, occorre considerare anche questi calciatori degli immigrati. Come dicevo prima, l’immagine di un calciatore brasiliano, per esempio, che gioca in un club europeo, è ben lontana dalla nostra idea di immigrato, che quasi per “stereotipo” per noi è il “classico” marocchino, filippino o cinese che gira nei parcheggi dei centri commerciali convincendo la gente a comprare le sue chincaglierie. Ebbene no, immigrato è qualsiasi persona di nazionalità diversa a quella del Paese in cui risiede, almeno per i primi anni (poi ovviamente può acquistare la cittadinanza). E alla fin dei conti, il cartellino (o tesserino che dir si voglia) di ciascun giocatore è, almeno per gli immigrati, come un permesso di soggiorno.
Sta di fatto che molti sono i giocatori di nazionalità diverse che giocano in una stessa squadra. Diversi calciatori, almeno all’inizio della loro carriera, come qualsiasi immigrato, sono spinti all’immigrazione e alla ricerca di una occupazione fuori dal proprio Paese per motivi economici e finanziari. Anche fare il calciatore è un lavoro, questo è risaputo. Poi, è ovvio, il lavoro del calciatore è diverso da tutti gli altri. Si guadagna sostanzialmente di più, soprattutto se si fa parte di grandi club a livello europeo e, spesso le due cose sono strettamente collegate, se si ha una carriera alle spalle di diverse stagioni calcistiche. Non abbiamo però idea di quante persone provenienti da Paesi del Sud del mondo, in particolar modo del Sudamerica e dell’Africa, come il Brasile, l’Argentina, la Nigeria, la Costa d’Avorio, il Camerun ecc., immigrano in Europa con la speranza di catturare l’attenzione di qualche club e di strappare un contratto da questi stessi club.

Alcune di queste ci riescono, incominciano a giocare in un piccolo club, se sono fortunate, dopo qualche anno, arrivano a giocare anche in grandi e ricchi club, magari diventano (così è la realtà) miliardarie e vivono decisamente meglio di prima. C’è da dire, comunque, che la maggiorparte dei calciatori professionisti hanno in comune due cose: la passione per il calcio giocato e la modestia. Ma non è questo il problema o il discorso filosofico su cui dobbiamo soffermarci, anche perché, come dicevo prima, il mondo del calcio professionistico è complesso e ben diverso da qualsiasi altra realtà lavorativa: per dirla in parole povere, si entra nel circuito del calciomercato e si gioca, proprio nel vero senso del termine. Poi certo si guadagna, ma alla fine di una lunga stagione calcistica, se ci pensiamo. Dopotutto è per questo che il calcio è visto più come un passatempo, un hobby, un divertimento che come un lavoro, un’occupazione, una fatica fisica e mentale. Ma, come dicevo prima, non è questo l’argomento che dobbiamo approfondire. Più che altro, il discorso sull’immigrazione di questi calciatori è una premessa al grande e preoccupante problema dell’intolleranza e della discriminazione razziale e culturale che molti di questi calciatori “immigrati” subiscono spesso passivamente.
Infatti, se ci pensiamo, una delle grandi qualità del calcio, e dello sport in generale, è il suo esistere per tutti. Persone provenienti da tutti i Paesi del mondo e da tutte le culture, gli ambienti sociali e le confessioni religiose gareggiano e si sfidano, nel rispetto reciproco del talento e del carattere di ognuno.
Eppure, ancora nel XXI secolo, troppi sportivi sono ancora vittime di azioni inaccettabili proprio a causa del colore della loro pelle o della loro nazionalità. I giocatori ed i tifosi dovrebbero sentirsi al sicuro all’interno di uno stadio sportivo, liberi da qualsiasi discriminazione e violenza fisica o verbale. Nella società multiculturale di oggi, non c’è posto per il razzismo nello sport.
Nonostante ciò, fino a poco tempo fa bandiere, striscioni, slogan con una chiara caratterizzazione nazifascista, razzista e discriminatoria invadevano quasi ogni domenica le curve di molti stadi europei.
Ho detto fino a poco tempo fa, perché oggi la partita può essere sospesa per far rimuovere questi striscioni razzisti.
Paradossalmente, però, non è prevista analoga decisione se gli stessi slogan vengono urlati a piena voce e diventano dei veri e propri cori razzisti.

Lotta al razzismo
L’Unione Europea sta collaborando con molte organizzazioni sportive per sostenere iniziative contro il razzismo a livello nazionale e paneuropeo. Queste includono le iniziative promosse dalla UEFA, la federazione europea del gioco del calcio e l’iniziativa FARE (Football Against Racism in Europe), la rete dedicata ai tifosi che riunisce oltre 70 club di tifosi di calcio ed organizzazioni di immigranti e gruppi appartenenti a minoranze etniche. L’anno europeo dell’educazione attraverso lo sport (EYES 2004) è l’attuale campagna condotta dalla commissione europea per promuovere lo sport nella sua dimensione sociale e rappresenta uno strumento fondamentale per lo sviluppo di una società più aperta e tollerante.
Già in passato l’UE ha utilizzato lo sport come mezzo per diffondere un messaggio d’amicizia, unità e reciproca comprensione. Il 1997, per esempio, è stato l’anno europeo contro il razzismo, durante il quale la Commissione europea e la UEFA hanno organizzato congiuntamente una partita di calcio tra le stelle del pallone europee ed africane. La partita si è svolta a Lisbona, in Portogallo, ed è stata trasmessa da numerose emittenti televisive europee e da emittenti nazionali nella maggior parte degli Stati africani. Grazie al supporto della UEFA e delle 52 federazioni ad essa associate e della Commissione europea, FARE continua ad avere un impatto positivo sul problema del razzismo in tutto il continente. Nel 2002, FARE ha sostenuto la UEFA nell’elaborazione di un piano d’azione in 10 punti, che forniva alle associazioni nazionali, alle società ed alle federazioni un insieme di linee guida pratiche per evitare episodi di razzismo nelle competizioni sportive. La UEFA ha anche introdotto un programma a sostegno di progetti antidiscriminazione attuati dalle 52 federazioni nazionali. Il programma prevedeva anche che i giocatori ed i tifosi esibissero un cartellino contro il razzismo prima delle partite per dimostrare la loro presa di posizione. Tuttavia, il razzismo continua ad essere un problema serio, non solo sugli spalti degli stadi di calcio, ma anche all’interno del tessuto stesso della società. Infatti gli episodi che si osservano negli stadi non che la punta visibile di un iceberg molto più profondo. Assieme alla UEFA e ad altre organizzazioni sportive, la commissione vuole lanciare un appello a tutto il sistema sportivo affinché sia più attivo in questa lotta e decida una volta per tutte che il razzismo merita il cartellino rosso.

Questi gli episodi più recenti o più clamorosi di razzismo nell’Unione Europea.

OLANDA
Nell’ottobre 2004 Den Haag-Psv viene interrotta dall’arbitro olandese René Temmink per cori antisemiti provenienti dalla curva dei tifosi di casa.
INGHILTERRA
Nell’aprile del 2003 la federazione inglese incorre in un multa record (100 mila euro) per i cori contro i turchi in un confronto fra nazionali.
FRANCIA
Nel maggio 2005 Pascal Chimbonda, giocatore di colore del Bastia, fu oggetto di insulti e sputi dai suoi stessi tifosi, che lo chiamavano “scimmia”. Voleva abbandonare il campo, ma fu convinto a restare da Karembeu.
SPAGNA
Fra la fine del 2004 e l’inizio del 2005 la Spagna diventa epicentro del razzismo. “BUUU” ai giocatori di colore dell’Inghilterra durante il confronto fra nazionali a Madrid; stessa cosa in Real Madrid-Bayern Monaco di Champions League. E poi: nel febbraio 2005 Eto'o, centravanti del Barcellona, beccato dai cori razzisti dei tifosi del Saragozza, segna ed esulta facendo la scimmia, cosa che si ripete identica a distanza di un anno, nel febbraio 2006, sempre a Saragozza. Sempre all’inizio del 2005 l’allenatore della nazionale spagnola Luis Aragones, durante chiama “negro di merda” il francese Thierry Henry, centravanti dell’Arsenal e della nazionale francese.

ITALIA
Cori e inni razzisti durante Messina-Inter di campionato (novembre 2005), rivolti al messinese Zoro: quest’ultimo pensa di lasciare il campo ma infine è convinto a restare. Identificati 35 autori di quei comportamenti, arrestati e multati. A Roma, durante la gara di campionato col Livorno (gennaio 2006), compaiono striscioni inneggianti ai forni e svastiche nella curva giallorosa: un turno di squalifica all’Olimpico (prossima gara casalinga della Roma su campo neutro e a porte chiuse). Meno recente, ma non meno sconvolgente, il 20 marzo 2003, durante Roma-Ajax, uno striscione invita i tifosi e i calciatori ebrei dell’Ajax a “farsi una doccia”.

REPUBBLICA CECA
Dalla curva dello Sparta Praga, nel settembre del 2005, durante la partita di Champions League con l’Ajax, partono canti razzisti: decisa dalla UEFA la riduzione della capienza dello stadio per una partita. Gli stessi tifosi si ripetono durante l’incontro con il Thun a Benga (multa di 39.000 euro e trasferte bloccate per la successiva partita).

Il calcio, e lo sport in generale, entra nel testo della Costituzione europea nella Parte III (“Le politiche e il funzionamento dell’Unione”), sezione quinta, inserita all’interno del Capo V, tra i “Settori nei quali l’Unione può decidere di svolgere un’azione di sostegno, di coordinamento o di complemento”. Riportiamo di seguito un comma dell’articolo III-282 della Costituzione Europea che specificamente si occupa di sport:

L'Unione contribuisce alla promozione dei profili europei dello sport, tenendo conto delle sue specificità, delle sue strutture fondate sul volontariato e della sua funzione sociale e educativa.
L'azione dell'Unione è intesa:
a) … …
g) a sviluppare la dimensione europea dello sport, promuovendo l'imparzialità e l'apertura nelle competizioni sportive e la cooperazione tra gli organismi responsabili dello sport e proteggendo l'integrità fisica e morale degli sportivi, in particolare dei giovani sportivi.

L’articolo 5 del regolamento disciplinare UEFA (2004) dice che “federazioni, club e giocatori devono comportarsi secondo i principi di lealtà, integrità e sportività. Per esempio, infrange tali principi chi… tenga un comportamento razzista, discriminatorio, politicamente estremista oppure insulti o tenga comportamenti di altra natura tali da violare le regole fondamentali del comportamento”.

Sempre dalla Commissione Europea un calcio al razzismo è stato dato il 1° marzo di quest’anno (2006) in occasione della partita amichevole Italia-Germania, alle ore 21 a Firenze: è stato dato il via a una campagna d’azione comune contro ogni forma di razzismo, rivolta al mondo dello sport.

L’iniziativa delle rappresentanze della Commissione europea in Italia e in Germania ha previsto la consegna ai giocatori delle due squadre di magliette con il simbolo dell’Unione europea con le scritte, in italiano e in tedesco: «L’Unione europea contro il razzismo» e sul retro «Razza? Umana!» (celebre frase di Albert Einstein).
Quando lo scienziato ebreo Albert Einstein giunse negli Stati Uniti per sfuggire ai nazisti, un doganiere gli chiese a che razza appartenesse ed Einstein risposte “Umana”, per indicare che tutta l’umanità appartiene a un’unica razza. Dunque senza distinzioni in base al sesso, al colore della pelle, all’origine etnica o sociale, alle opinioni politiche, all’età o all’orientamento sessuale. Allo stadio Franchi, inoltre, prima del fischio di inizio, il vescovo ausiliario di Firenze Claudio Magnago ha letto anche un messaggio del Papa Benedetto XVI contro il razzismo:

“Tutta l’umanità appartiene ad un’unica razza, senza distinzioni di sesso, di colore della pelle, di origine etnica o sociale, di caratteristiche genetiche, di lingua, di religione. Dobbiamo essere orgogliosi di questi valori comuni e difenderli, a pomiciare dagli stadi di calcio. Apprezzo le iniziative contro le discriminazioni razziali, promosse per rinsaldare la consapevolezza dell’importante funzione educativa dello sport al servizio della solidarietà e della pace.”

Infine Papa Ratzinger “incoraggia il comune sforzo dispiegato per la promozione della civiltà dell’amore attraverso il paziente dialogo e il reciproco rispetto in ogni ambito della società”.

Molti altri hanno espresso un parere sul problema delle discriminazioni razziali.
Lilian Thuram, difensore negro della Juventus, ha detto:
“In cinque anni non è cambiato nulla. Il razzismo, dopo un periodo di calma apparente, è tornato alla ribalta nel campionato italiano. Il verso della scimmia è insopportabile. … Il mondo del calcio deve rifletterci sopra, perché si tratta di uno sport che coinvolge milioni di persone provenienti da tutto il mondo. … Perché poi parlare di persone di colore? Il bianco non è forse un colore? Bisogna considerare le persone per le loro competenze e non per il colore della loro pelle”.
Lennart Johansson, presidente della UEFA, ha detto:
“Il razzismo è senza dubbio una delle peggiori forme di mancanza di rispetto verso gli altri esseri umani. Non c’è posto per il razzismo nella nostra società e tanto meno in uno sport di squadra. Vogliamo liberare il calcio da questo flagello”.
Prandelli, allenatore della Fiorentina, ha detto:
“Sono favorevole allo stop delle partite in caso di cori razzisti ma, più che sospendere le partite, dovremmo sospenderci noi”.
Pier Virgilio Dastoli, direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione europea, ha sottolineato:
“Purtroppo la concezione di un’umanità divisa in razze superiori e inferiori e l’intolleranza razzista non sono state spazzate via con la fine della seconda guerra mondiale, ma restano fenomeni diffusi, ben più di quanto sia visibile, in molte delle nostre società e le manifestazioni di qualche imbecille negli stadi italiani sono la punta di un iceberg la cui importanza è a torto ignorata dalle istituzioni pubbliche”.

Ed è stato proprio Pier Virgilio Dastoli, direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione europea, a consegnare le magliette ai giocatori alla presenza dell’ambasciatore della Repubblica federale tedesca Michael Gerdts. Prima del fischio di via dell’incontro, inoltre, il vicepresidente della Commissione europea Franco Frattini ha dato ai capitani delle squadre la bandiera dell’Unione europea, mentre il sindaco di Firenze ha consegnato alle squadre lo stendardo della città.
Prima dell’amichevole in campo ci sono state altre due partite di calcio, la prima fra due squadre di bambini italiani e tedeschi, la seconda tra vip delle due nazionalità. L’intera iniziativa si inserisce in un quadro più vasto di azione contro ogni forma di discriminazione, che si intensificherà in occasione dei prossimi campionati mondiali di calcio (giugno-luglio 2006).

Certo, però, che, se non è bastato, e sicuramente non basterà nemmeno in futuro, multare club e federazioni (che non possono fare più di tanto con le proprie tifoserie), chiudere gli stadi e giocare intere partite su campi neutri e a porte chiuse in seguito a episodi di razzismo negli stessi stadi, per far entrare in testa certi concetti “basici” (come quello di portare rispetto all’essere umano), non resta forse che il pugno di ferro. Ma se siamo ancora qui, a questo punto, settant’anni dopo che Hitler si rifiutò di consegnare a Jesse Owens (nero) le quattro medaglie d’oro olimpiche che avrebbe dovuto vincere, vuol dire che non sappiamo prendere lo sport ed il calcio per quello che è veramente, alla fin dei conti, ovvero un gioco e un divertimento, e vuol dire anche, cosa più eclatante e vergognosa, che la Storia non ci ha insegnato un bel niente. Né basterà un regolamento del calcio o della Commissione Europea a farlo.

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Bibliografia

  • Nuovo Ecogeo 2° volume , M. Corradini e G. Monaci (libro scolastico)

  • Guardare il mondo 2° volume , G. Paci (libro scolastico)

  • I Viaggi di Mister Fogg 2° volume , R. De Marchi e F. Ferrara (libro scolastico)

  • Globalizzazione e territorio G1 , C. Lanza e F. Nano (libro scolastico)

  • http://europa.eu.int

  • Enciclopedia Encarta 2006

  • Sole 24 Ore (1° marzo 2006)

  • Gazzetta dello Sport (28-29 novembre 2005; 1°-5-7 dicembre 2005; 1°-27 febbraio 2006; 1°-2 marzo 2006)
Immagini
  • Guardare il mondo 2° volume , G. Paci (libro scolastico)

  • www.th.physik.uni-frankfurt.de

  • www.ilrestodelcarlino.quotidiano.net

  • www.dstu.univ-montp2.fr

  • www.it.farenet.org

  • www.intelligenzaemotiva.it

  • www.sporting.it

  • www.ilsole24ore.com

  • www.rai.it

  • www.supersoccer.co.za

  • www.soccernet.com

  • www.aiig.it

  • www.gold.bdp.it

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